martedì 19 febbraio 2013

Recensione: "Woven into the Earth", Else Østergård

Ho acquistato un mese fa questo interessantissimo testo che tratta del più importante ritrovamento tessile di epoca medievale effettuato nel XX secolo: è avvenuto in Groenlandia, nella zona meridionale della regione, colonizzata dagli abitanti dell'Islanda nel X secolo e abbandonata probabilmente a metà del XV secolo a causa dell'inasprirsi del clima e del conseguente venir meno delle condizioni idonee al sostentamento di questa popolazione. 
Già a partire dalla fine dell'Ottocento, nella zona di Herjolfsnes (oggi chiamata Igaliku) iniziarono ad affiorare da un antico cimitero rari reperti lignei (croci e frammenti di bare) e frammenti tessili. Nel 1921 il National Museum of Denmark finanziò una spedizione di cui si fece carico l'allora giovanissimo Paul Nørlund, i cui diari di scavo sono ancora preziosi per le numerose informazioni che forniscono sul materiale ritrovato: dal cimitero emerse una cinquantina di capi d'abbigliamento che si erano conservati sufficientemente bene grazie al terreno gelato che per secoli li aveva ospitati, che restituì in buono stato numerose tuniche, svariati cappucci ("pellegrine"), qualche esempio di calze e cappelli, quasi tutti datati tra il 1300 e il 1375. La funzione dei vestiti in questo cimitero era principalmente quella di sostituire le bare, impossibili da realizzare data al scarsità di legname sull'isola: per questo numerosi capi d'abbigliamento risultavano tagliati per meglio essere avvolti intorno ai corpi. 


Else Ostergard Woven into the Earth
Else Ostergard, "Woven into the Earth"
La vera ricchezza di "Woven into the Earth" è la meticolosa descrizione che offre di ognuno dei reperti tessili di Herjolfsnaes. Viene spiegata in dettaglio la cosidetta "classificazione Norlund" dei vestiti, che chiarisce la struttura delle singole vesti basandosi principalmente sul numero dei gheroni e il loro taglio.
Nel libro, le immagini di ogni reperto sono corredate da una descrizione che riporta in dettaglio le misure dei diversi capi (lunghezza, larghezza, ampiezza delle tuniche e dei cappucci), che permette di farsi un'idea davvero precisa delle vesti. Un dato particolarmente significativo che ho riscontrato è che gli orli delle vesti sono sempre molto ampi, infatti il meno ampio è circa 220 cm, ma si arriva anche ai 400 cm di una delle tuniche più belle, nonostante la maggior parte si aggiri intorno ai 300/350 cm. 

Per quanto si tratti di una realtà apparentemente così lontana, è senz'altro significativo notare come queste vesti siano non solo molto simili a quelle che è possibile vedere in quadri e miniature di tutta Europa, ma anche laddove sia possibile la comparazione con altri esemplari di vesti (ad esempio, la veste di Santa Chiara o quella di San Francesco, XIII sec.) sarà possibile scorgere come la struttura, l'idea che sta alla base di questi abiti sia la medesima. 
È per questo motivo che ritengo che lo studio di questi reperti sia fondamentale anche in àmbito ricostruttivo, in quanto almeno permette di gettare uno spiraglio di luce dove altrimenti il buio della scarsità di reperti tessili ci costringerebbe a non inoltrarci.

Else Østergård, Woven into the Eath: Textile finds in Norse Greenland, Aahrus University Press, 2004, 2009 (2a ristampa).

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